A Granzette la mostra sulla tragedia del Vajont. L'onda della morte

Un lavoro enorme, un percorso tra fango e corpi a terra per ricreare l’accaduto.

La ricostruzione multisensoriale unica sul disastro avvenuto 56 anni fa, il 9 ottobre 1963.

Il 21 settembre a Granzette nell'ex Manicomio di Rovigo al padiglione 7 dalle ore 14.00 l’Associazione Culturale “I luoghi dell’abbandono” cercherà di immergere il visitatore nell'ambiente ricreato attraverso un percorso del prima con il cantiere dei lavori di costruzione della diga, un percorso successivo al collasso del monte che causò l'inondazione e il disastro di fango tra detriti e acqua mentre i paesi erano dormienti, e il percorso nella fase di ricostruzione. Il tutto tra foto storiche, giornali d'epoca, progetti e video nella testimonianza della tenacia e del coraggio umano trasmesso per esperienza vissuta da chi è intervenuto nei soccorsi. Ci sarà anche l'intervento di un attore nella prima fase della mostra che interpreterà l'Ing. Semenza all'epoca dei fatti.

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La difficoltà nella ricostruzione dei percorsi è stata l'immensa mole di materiale collocato nelle aree adibite alla mostra, grazie all'impegno di collaboratori che hanno lavorato per 40 giorni. Un lavoro progettato preciso e paziente coadiuvato da prove tecniche di tenuta e uso di materiale specifico. Per la particolarità della mostra sarà fatto vieto presentarsi con scarpe a tacco alto. Sono necessarie scarpe da ginnastica comode o scarpe basse con suola in gomma. All'ingresso saranno consegnati degli appositi calzari coprenti da indossare per poter accedere senza sporcarsi durante la visita della mostra , con ingresso contingentato per max 20/30 persone alla volta >

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Storia

Vajont è il nome del torrente che scorre nella valle di Erto e Casso per confluire nel Piave, davanti a Longarone e a Castellavazzo, in provincia di Belluno (Italia). La storia di queste comunità venne sconvolta dalla costruzione della diga del Vajont, che determinò la frana del monte Toc nel lago artificiale. La sera del 9 ottobre 1963 si elevò un immane ondata, che seminò ovunque morte e desolazione. La stima più attendibile è, a tutt'oggi, di 1910 vittime.

 

Sono stati commessi tre fondamentali errori umani che hanno portato alla strage: l'aver costruito la diga in una valle non idonea sotto il profilo geologico; l'aver innalzato la quota del lago artificiale oltre i margini di sicurezza; il non aver dato l'allarme la sera del 9 ottobre per attivare l'evacuazione in massa delle popolazioni residenti nelle zone a rischio di inondazione. 

Fu aperta un'inchiesta giudiziaria. Il processo venne celebrato nelle sue tre fasi dal 25 novembre 1968 al 25 marzo 1971 e si concluse con il riconoscimento di responsabilità penale per la previdibilità di inondazione e di frana e per gli omicidi colposi plurimi. Ora Longarone ed i paesi colpiti sono stati ricostruiti.


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La zona in cui si è verificato l'evento catastrofico continua a parlare alla coscienza di quanti visitano la Diga o s'informano attraverso foto storiche e documentari. In quest'ottica la regia di Devis Vezzaro vuole mostrare e far percepire al pubblico il ricordo attraverso scene e ricostruzioni ambientali dell'immensa tragedia che colpì nel cuore tutti gli italiani >

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La frana che si staccò alle ore 22.39 dalle pendici settentrionali del monte Toc precipitando nel bacino artificiale sottostante aveva dimensioni gigantesche. Una massa compatta di oltre 270 milioni di metri cubi di rocce e detriti furono trasportati a valle in un attimo, accompagnati da un'enorme boato. Tutta la costa del Toc, larga quasi tre chilometri, costituita da boschi, campi coltivati ed abitazioni, affondò nel bacino sottostante, provocando una gran scossa di terremoto. Il lago sembrò sparire, e al suo posto comparve una enorme nuvola bianca, una massa d'acqua dinamica alta più di 100 metri, contenente massi dal peso di diverse tonnellate. Gli elettrodotti austriaci, in corto-circuito, prima di esser divelti dai tralicci illuminarono a giorno la valle e quindi lasciarono nella più completa oscurità i paesi vicini.

 

In pochi minuti la tragedia è conclusa: non ci sono più strade, non c’è più la ferrovia, non ci sono più le linee di comunicazione perché telefono e telegrafo sono stati inghottiti dalla furia delle acque. Sono scomparsi gli animali, insieme ai campi coltivati. Su tutto si stende una pesante coperta di fango.

Alle prime luci dell'alba l'incubo, che aveva ossessionato da parecchi anni la gente del posto, divenne realtà. Gli occhi dei sopravvissuti poterono contemplare quanto l'imprevedibilità della natura, unita alla piccolezza umana, seppe produrre. La perdita di quasi duemila vittime stabilì un nefasto primato nella storia italiana e mondiale.

La diga più alta al mondo

Negli anni ‘40 la Società Adriatica per l’Energia Elettrica, impresa privata veneziana fondata dal conte Giuseppe Volpi di Misurata agli inizi del 1900, ebbe l’idea di creare un bacino idroelettrico in quella zona.

 

Il progetto era quello di sfruttare la forza dell’acqua con la realizzazione di quella che all’epoca, con i suoi 265 metri di altezza, fu definitiva “la diga più alta del mondo”. Il progetto della diga del Vajont venne a far parte del cosiddetto “Grande Vajont”, un complesso che riuniva e collegava diversi bacini idroelettrici nelle valli circostanti.

Fu ideato e realizzato dalla SADE, che ottenne praticamente il monopolio per l’utilizzazione delle acque dell’intera zona per la produzione di energia elettrica.


La SADE sarebbe in seguito divenuta proprietà dell’Ente Nazionale Energia Elettrica, dopo la nazionalizzazione delle aziende elettriche nel 1962, trasferendo la gestione e il controllo della diga del Vajont sotto la giurisdizione dell’impresa pubblica.


Informazioni

La sera dell'inaugurazione verso le ore 20 nella chiesa dell'ex Manicomio sarà videoproiettato gratuitamente lo spettacolo teatrale di Paolini: Vajont orazione civile.

 

Ingresso mostre:

dal 21 Settembre 2019 al 30 Aprile 2020

Sabato dalle 14 alle 18

Domenica dalle 10 alle 18

Contributo € 5

www.lemostredellabbandono.it

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